20/05/07

hojikogi dori

oooops.
faccio spazio tra le cose e mi posiziono dondolandomi fino in basso.
due tre passetti e mi aggiusto, mi immobilizzo incartandomi.poi faccio attenzione ai piedi e ai bordi.

"al centro mi annullo.
bisogna stare sui bordi,dove c'è turbolenza."

questo dice il jingle del centro commerciale mentre io rimango sospeso sul buco dove scompaiono le cose prodotte dalle persone.
o forse l'ho pensato io mentre il jingle suonava.
sono sospeso sul buco dove scompaiono le cose prodotte dalle persone.
fisso la maniglia della porta, stabilisco un equilibrio improbabile tra me e il mondo che mi ruota intorno in questi ultimi minuti e poi mi fermo.
nei centimetri oltre la mia porta e il mio piccolo quadrato di spazio scalpicciano e pisciano in continuazione.
il jingle canta "fatevi avanti che noi siamo il meglio.il meglio del meglio. io sono te,tu sei me, e noi insieme siamo il meglio del meglio del meglio."
forse il jingle ha ragione,insieme siamo il meglio.
una spinta e uno sforzo.
cerco di convincermi.
io sono il meglio, il meglio del meglio.
ma il jingle mi ricorda che io da solo non sono il meglio del meglio, ma solo insieme siamo il meglio del meglio. dissento: "io da solo vorrei essere il meglio del meglio" dico ,penso e poi spingo.
sforzo.
io da solo.sforzo.
ho detto prima "un momento, un momento e arrivo" invece sono qui dentro da anni.
non mi ricordo neanche più quanti.
"in un momento finisco" credo di aver ripetuto mentre entravo.
sforzo sforzo sforzo, come ieri sforzavo a mettere piedi uno di davanti all'altro, mentre percorrevo i piani dedicati alle club activities.
c'è tutto un palazzo dove ci sono tutte club activities.
qui si ricreano, si rilassano, si rigenerano.
fanno a gara a creare più attività diverse, tutte una sfumata dall'altra.
poi le pubblicizzano sulle bacheche, fogli A4 infilati uno contro l'altro con in scritti slogan e disegnati pupazzi, orsacchiotti, occhioni grandi, sorrisi giganti, qua ovunque c'è sempre un pupazzo disegnato, pupazzi ovunque per pubblicizzare ogni cosa.
abbiamo scelto una club activities in particolare.
per provarla almeno una volta.
club activities sul nulla, in particolare.
il palazzo delle club activities è il più gettonato dell'intero complesso.
è il più affollato e il più ricercato.
ogni stanza,una club activities.
ogni porta un gruppo di persone diverse.
entrano e escono ,si tolgono e si rimettono scarpe, si slautano e si prendono in giro, si scherzano e si fissano.
dovrebbero fare qulacosa all'interno delle stanze delle club activities.
per esempio gestire le club activities e soddisfare i punti esposti sui fogli A4 riempiti di orsacchiotti.
fuori dalla porta di alcune stanze ci sono cartelloni e disegni colorati che si schiantano con l'idea che ho dei venti anni.
sembrano cartoni animati o un posticipare i tempi.
entro dentro uno di questi cartelloni, anzi lo sorpasso.
mi fissano, sono stupiti di vedermi lì, anche perchè senza volerlo e senza poterci fare nulla sono diverso da loro.
si accendono quasi tutti tranne uno che dorme.
poi sembra che vogliano dire qualcosa ma in realtà non sanno che dire.
sono stipati dentro una stanza larga, con un tavolo al centro e divani intorno.scarpe ammonticchiate, scombinate che aspettano all'entrata.
mi presento.
loro storpiano il nome e sono gentili.
non parliamo quasi mai.sono lì dentro da ore e li fisso tutti a turno.
sembrano non avere nulla da fare.
cerco di chiedere dell'attivit che svolgono là dentro e con poca maestria virano tra i sassi spersi del non potermi spiegare, del potermi far capire.
io capisco solo che girano intorno alla questione.
e parlano si che vorrebbero, si che dovrebbero, mentre penso che allora il tempo che spendono qui a cosa serve?
a qualcosa? gli chiedo. si certo mi dice quello che si è autoincollato contro di sè il compito di fare da portavoce.agli altri non gliene frega nulla di quello che succede. però guardano.
gli chiedo cosa fanno qui dentro. il portavoce mi spiega che fanno quello che dice il foglio A4 che ho con me e che fanno quelo che il cartellone colorato di disegni dice che fanno.
gli vorrei dire che non è vero, perchè non fanno nulla di lontanamente simile a quello che lui dice loro stanno facendo.
sono impauriti, forse.
anche io sono impaurito.
mentre parlo mi metto camminare per il corridoio ,esco nuovamente fuori dalla stanza ealzo la voce ad ogni passo per farmi sentire da chi è rimasto dentro. infilo la testa in ogni porta aperta e dentro ogni porta e dentro ogni stanza non stanno facendo nulla, c'è chi dorme per terra sopra un materasso, chi accanto gioca ad un videogioco che scorre, chi cammina impegnato nella espressione che fa.
c'è tutto lì dentro. ci sono tutti. rivedo facce che ho imparato a vedere mentre continuo ad alzare la voce per fare in modo che mi sentano ancora e ancora.
sono in un corridoio infinito pieno di stanze infinite. neanche posso immaginare quante club activities ci siano lì, e neanche riesco a immaginare le cose che si fanno dentro le stanze oltre le porte.
penso che mi manca qualcuno, qualcuno che non vedo da tempo, ma non riesco ora qui a far presa sul suo volto, non so chi mi manca.
mentre mi manca qualcuno cammino per il corridoio che non finisce e ripeto meccanico i movimenti del mio corpo che si infila nelle porte e guarda dentro le stanze.
non c'è nessuno che sta facendo quello che pubblicizza di fare.
ci sono i cellulari nele mani, vengono premuti e richiusi, riaperti e ripremuti, si fissano e si parlano.
giocano e dormono. parlano e entrano e escono dalle stanze e poi ritornano e si girano perchè chiamati, aprono finestre per fumare fuori il fumo,alzano la testa dal tavolo si passano fogli con appunti leggono riviste per sole donne o per soli uomini dove ci sono pubblicità per soli uomini o per sole donne, masticano gomme, si scambiano email sul telefono, discutono di cose varie assorti in qualcosa d'altro, parlano tra amiche, si chiamano tra le stanze, giustificano azioni,percorrono corridoi, si raccontano di ieri e di cosa domani, si fanno scherzi rapidi fatti di parole o anche di gesti, mi fissano, mi cercano, poi mi si dimenticano, a me manca qualcuno ma non so chi, si spostano di punto in punto, si salutano e forse se ne vanno a casa, non si baciano, si infilano le scarpe con movimento giustificato, si aggiustano i corpi e le giacche, le borse le riempiono, sfanno giù il torpore, dicono bye, si infilano nel corridoio, salutano con la mano al di là di altre porte di altre club activities, si organizzano per la sera, o forse per il fine settimana,prendono le bottiglie dalle borse, bevono un goccio del liquido dentro le bottiglie, poi ripongono, fanno giochi, fissano il muro, si stendono sui divani e socchiudono gli occhi quasi addormentandosi, hanno gli occhi semichiusi le guance morbide, prendono a schiaffi il divano per sistemarlo meglio, pensano a cose che io non so, parlano di biciclette parcheggiate qua sotto il palazzo, indicano un amico e parlano di lui.
ma non fanno nulla di quello che è scritto sui fogli A4 appesi alle bacheche come pubblicità.

18/05/07

max value dori

ANTEFATTO:

incontro l'americano per due volte al supermercato.
la prima volta io sono in fila alla cassa, pieno di oggetti con cui riempire la mia casa contenitore.
lui si scopre che stava dietro di me ma io non lo avevo nè sentito nè visto nè neanche notato.
mi fa "che stai facendo?" io ho oggetti che mi riempiono tutto lo spazio visivo, oggetti nelle mani,oggetti tra i capelli, oggetti in ogni punto prensile del mio corpo.
gli vorrei dire "secondo te che faccio? sto leggendo." invece gli rispondo "fillin' my house" lui si mette a ridere attraverso i suoi occhietti a mandorla.
io non posso ridere,se rido cade tutto, oppure muoio.
l'americano dagli occhietti a mandorla invece è riempito di un solo oggetto, il cuo contenitore porta oggetti è in sostanza vuoto e dentro di sè a solamente una sctolina di plastica trasparente che a su volta contiene solo tre rollini di riso i quali a loro volta dentro di loro hanno ognuno qualcosina di colorato.
dice che la sua cena.
io penso a lui mentre mangia nel suo appartamento.
tre rollini di riso con dentro qualcosa. mentre fa spalpebrare continuamente i suoi piccoli occhietti a mandorla. mentre è da solo sulla sua sedia mentre pensa a casa sua alla sua ragazza al suo campus universitario immaginando che magari mentre lui se ne rimane fermo lì a mangiare i tre rollini qualche squilibrato semi-americano impallina o fa a fette tutti quelli che conosce.
lui non mi aspetta, l'americano. io devo pagare e poi riempire le buste.
lui già è scomparso.

la seconda volta io sono alla cassa.l'americano non l'ho visto manco 'stavolta.
mi fa "che stai facendo?" mi ripassa davanti tutto quanto.tutto.
gli dico che sto "comprando cose per la cena" mentre in realtà penso che sto comprando cose che mi basteranno per i prossimi dieci giorni.
gli vorrei dire che non so come farò ad infilare tutte le cose che sto comprando dentro il frigorifero.gli vorrei dire che un frigorifero piccolo è un frigorifero triste.
ma lui già non mi ascolta più.
guarda chissà dove.
nel suo contenitore rosso che può contenere altri contenitori c'è solo qualcosa per la cena.
gli occhi a mandorla dell'americano sono sempre gli stessi dell'altra volta.
non hanno cambiato nulla.

ci potrei passare attraverso senza che lui se ne accorgesse.
ma la commessa mi chiama.una serie infinita di bip-bip-bip-bip-bip-bip.
quando finisco di riempire le buste l'americano non c'è più.
se ne è andato di nuovo lasciandomi solo.
e pensare che ci sarei pure diventato amico.

LA STORIA-
-di come l'americano decide di tornarsene a casa prima del tempo-

l'americano non lo vedo più da giorni.
non si presenta più e vedo solo l'amico,l'altro americano che stava sempre sempre insieme all'americano dagli occhi a mandorla.
provando un profondo odio per l'americano dagli occhi a mandorla, la curiosità nei suoi riguardi è ovviamente alle stelle.
ho atteso giorni, rigirandomi nel letto e chiedendomi della sorte dell'americano.
e mi sogno l'americano in mezzo agli scaffali del supermercato che vola tra una scatola di gelati e una busta di germogli di soia, che si ingozza di rollini di alga e di frittura di polipo.
poi mi sveglio dopo i sogni sull'americano e la curiosità mi rimane.
mangio assorto nei pensieri dell'americano, e mi chiedo "che fine mai l'americano avrà fatto?"
oggi chiedo all'amico americano dell'americano dagli occhi a mandorla.

gliel'ho chiesto.
l'americano m'ha spiegato tutto riguardo all'amico americano dagli occhi a mandorla.
mi ha risposto con tre frasi.
"la sua laurea era in spagnolo e non in giapponese"
"sua madre è giapponese, voleva venire a cercare le sue radici o qualcosa del genere"
"ha pensato che stesse perdendo il suo tempo. se ne è tornato a casa"

io mentre annuisco penso che le radici sono importanti, e mentre muovo in su e in giù la testa penso che forse all'americano con gli occhi a mandorla non gliene fregava un cazzo delle radici e faceva solo finta di cercarle.
ma all'americano amico dell'americano non glielo dico.
poi penso che mica lo so dove si cercano le radici.

13/05/07

rokugokan dori

l'appuntamento, come mi ero già detto, è alle due.
sto facendo tardi per colpa del regalo all'interprete.
l'interprete è sempre lì in cima alle scale che mi guarda, mi osserva, ma forse non mi vede e non sa che sono per terrra seduto a fissare il nulla davanti a me.
giro gli occhi verso l'insegna di lawson, unico faro che mi potrà dirigere.
"dirigermi dove?" mi ricordo di chiedermi.
"l'appuntamento" penso di nuovo.
"dirigermi all'appuntamento" ripasso.
"dove è l'appuntamento?"
"dove, dov'è?"
"...che devo andare..."
"...lawson..." penso.
l'inteprete è scomparso.l'avevo lasciato in cima alle scale e ora è scomparso.
"dove" ripeto acora.
Una serie di parole, tutte affastellate, ma non trovo dove devo andare.

Ora sono di fronte a lawson.
ho inseguito l'insegna che si allontanava sempre.
entro da lawson e quando sposto la maniglia e faccio ruotare la porta sul suo cardine sento "PLIMPLON".
mi salutano.
"PLIM PLON" faccio alla cassiera.
La cassiera mi risponde con un altro "PLIM PLOM".
ci sorridiamo.
le chiedo "PLIM PLOM, sa dove devo andare?"
lei sorride, si inchina fino a scomparire dietro e sotto il bancone, io la seguo con gli occhi e poi col corpo, mi infilo anche io sotto il bancone vicino alla cassiera.
"Cassiera" ripeto "sai dove mi devo recare?".
La cassiera sorride nella sua giacchetta a strisce bianche e azzurre che ora fanno qui e là su e giù per colpa del suo corpo che si mouve sorridendo.
"Cassiera" di nuovo la chiamo "cazzo rispondimi" tutto gentile e sorridendo ai suoi sorrisi esterno io.
la cassiera ci pensa e fa "appuntamento" "palazzo" "inglese" "tradurre".

Sono davanti al palazzo.
Otto piani di palazzo.
La cassiera credo stia ancora dietro e sotto il bancone a ripetere "appuntamento-palazzo-inglese-tradurre".
l'ho salutata dicendole "PLIMPLOM".
lei mi ha detto "PLIMPLOM".
Sono di fronte al palazzo.
e mi ripasso i piani finestra per finestra.
c'è il primo, c'è il secondo,c'è il terzo e poi conto fino all'ottavo.

Sono davanti all'ascensore.
ci sono tutti segni strani, cose da premere, e parole da leggere.
ci sono numeri e numeri dentro riquadri che posso premere.
sono confuso.
premo a caso.
l'ascensore parte per un piano che non so quale sia.
l'ascensore si apre, io esco e sono sopra un pavimento soffice dove i piedi fanno spuf spuf spuf spuf.

sono davanti ad una porta.
busso sulla porta.
apro uno spiraglio e sento qualcuno che mugugna qualcosa che sta per "entra" oppure ha mugugnato qualcosa come "entra ma aspetta un attimo".
allora mi fermo e sono in mezzo alla porta. un pò dentro e un pò fuori, così sembra che sto aspettando o forse che sto entrando.
dipende per quanto mi fissano.
se per esempio qualcuno mi vedesse lì e mi fissasse per un solo secondo darei l'impressione di un essere umano che sta entrando, mentre se qualcuno mi fissasse per più di tre secondi di sicuro sembrerei un tizio che sta aspettando.
invece in realtà sono uno che non sta facendo nulla.
penso questo e mi sono venuti a recuperare sulla soglia.
l'uomo con gli occhiali mi dice "benvenuto in questo nulla".
io dico grazie.
"qui come vedi ci sono i non-armadi e qui la non-scarpiera" mi fa l'uomo con gli occhiali.
io li osservo e annuisco, perchè tanto non lo capisco.
giriamo intorno a un altro non-scaffale gigante, o forse è un'altra non-libreria, ma non so di preciso cosa è, perchè il nulla è difficile da descrivere.
dall'altra parte ci sono dei non-computer sopra un non-tavolo e poi c'è una non-cinese che si volta verso di me e senza nessuna espressione mi saluta, ma senza dire una parola.
la non-cinese torna a fare il suo non-lavoro.
"cosa non dovrò fare?" penso mentre l'uomo con gli occhiali mi fa segno di sedermi su una non-sedia e inizia a non-parlare.
gli dico se per fevore può parlare in una lingua specifica.
lui mi ignora e parla in quella che più gli sta a genio.
rimango a bocca a perta.
ripeto che mi servirebbe che lui parlasse in una lingua specifica.
lui mi ignora.
parla in quella che gli è più congeniale.
la cinese si volta e gli spiega che io non capisco.
lui capisce ora.
si illumina e si scusa,sorride, ma io non lo faccio.
c'è un sito su un computer che sta apparendo.
ci sono bandierine che sventolano colori accostati uno vicino all'altro.
sento il nulla tutto intorno alla mia testa.
i colori dell'html sparati a caso sul monitr, le bandierine delle nazioni che sventolano a vuoto.
mi indica lento ogni bandiera, passandoci sopra con la punta del puntatore del mouse.
ogni volta che ci passa sopra, dichiara ad alta voce il nome della nazione, a volte clicca sul nome della nazione e sembra felice di rendermi partecipe di quel lavoro.
"conosce qualche eminente giurista?" mi chiede.
io penso ai salmoni.
gli rispondo "no,assolutamente".
perlomeno i salmoni lottano per andare a morire in un posto migliore. penso che i salmoni sono una specie molto adatta alle metafore.
la cinese sembra assorta nel nulla del suo monitor che non riesco a vedere.
l'uomo con gli occhiali sembra parlare al sito web e gli dichiara una ad una le pagine.
scorrono caratteri sulla pagina del browser.
lui mi chiede "preferisci stare qui ogni tanto oppure rimanere a casa".
faccio fatica a rispondere.
"casa" dico solamente.
mi sento risollevato.
gli ho detto "casa".
lui parla dei problemi del mondo e dei casi di tremenda ingiustizia che lo affliggono.
io sono d'accordo, ma non glielo faccio capire.
"forse se sto fermo e fingo di essere morto lui se ne va" penso.
lo faccio. sto fermo e fingo di essere morto.
sto fermo e fingo di essere morto.
sembra funzionare. l'uomo con gli occhiali si blocca, entra in stallo, poi si gira verso la cinese e inizia a parlare.
escono delle pagine copiate dalla stampante, lui si disamora di me e va a controllare il risultato.
le pagine sono stampate male e lui fa espressioni tipo "non capisco cosa stia succedendo", io sono fermo e mi sembro morto a me stesso.
lui ritenta, clicca con lentezza il mouse due passetti lenti alla volta raggiunge l'icona, l'icona immobile lì pronta a stampare documenti si sente zwyzwyzwyzwy il rumore della stampante e i fogli che flushflushflush escono stampati a metà, inchiostro sparso intorno al foglio ,parole rotte e smangiucchiate.
ormai è concentrato sulla stampante,discute con la cinese che cosa stia succedendo.
io riesco a muovermi nonostante sia morto e piano lento mi striscio tutto il corpo fino alla porta. li sento discutere di pagine di stampante inchiostri e bandiere di nazioni sul web.
sposto la porta,la apro un pochino, mi infilo fingendo ancora di essere morto, se mi vedessero ora sembrerei uno morto per colpa di una porta chiusa dal vento.
sono fuori , sul pavimento morbido di tappeto,non li sento più e saltello via come un salmone su per un ruscello,metafora sfatta e infinita infinita infinita infinita infinita

12/05/07

ososhiku dori

sono abbracciato ad un cesso e volo col cesso.
mi sono risvegliato così, abbracciato al cesso.
niente interpreti, niente mostri, niente peperoni e melanzane minuscole al supermercato.

sto volando forse da ore. non so.
me ne sono finito in bagno,tutto sfiancato, e forse lì mi sono addormentato.

e ora mi risveglio che volo abbracciato al cesso.

guardo l'orologio.
è mezzogiorno.
mentre volo con l'aria che mi muove il viso mi ricordo che non posso volare insieme al cesso per troppo tempo.
alle due ho un apputamento.

mi riacciuffano dal basso in qualche modo.
io non vorrei andare,ma piano piano mi tirano giù e piano piano mi tolgono dall'abbraccio del cesso.
non volo più.
sto pensando che non è giusto.

mi tolgo il kimono che indosso e mi vesto.
il kimono lo piego, in quattro parti, lo stiro con le mani, faccio combaciare le pieghe e le righe sul kimono.
lo ripongo. dentro.

alle due ho un appuntamento e stavolta niente interpreti e niente accompagnatori.

per esempio andrò solo.
mangio konyaku a fette grosse come una casa.lo mangio e non parlo.
mentre lo mangio la casa si muove e fa dudududdududududuudud.
il konyaku mi si muove in pancia e fa scuoschsucohscuochscuochscuochscuoch.

penso che preferivo volare col cesso.

esco da casa che ancora si muove.
sulle scale incontro il secondo interprete che torna da un posto.
gli chiedo da che posto.
lui dice : "un posto".
io lo ringrazio per tutto quello che ha fatto fin'ora per me,che è stato gentile e che mi ha salvato la vita in molteplici occasioni.
lui dice: "sono contento". ma lo dice senza sorridere.
io gli dico che gli voglio fare un regalo per dimostrargli la mia gratitudine.
dice che non è necessario.
io insisto.
lui insiste.
insisto di nuovo.
lui insiste insieme a me.
dico che insisto più io e lui mi guarda come a dire "devo entrare".
insisto ancora.
lui anche insiste,ma di meno.
"aspetta qui" io corro per le scale e vado a prendergli un regalo.
gli voglio regalare un pò di neve.
lui non sa che io gli regalerò un pò di neve.
mi aspetta in cima alle scale e non si muove.

giro un angolo, ne giro un altro, poi giù per una strada in discesa, poi giro un altro angolo, corro sotto una scala di un cubo di cemento dove so che ieri c'era ancora poco sole anzi niente.
oggi anche non c'è.
il sole.
c'è un cumulo di neve ghiaciata,nera e dura.
ne spacco un pezzo con un calcio, prendo il pezzo che sono riuscito a staccare e infilo il pezzo di ghiaccio in tasca.
corro indietro verso le scale dove in cima sta immobile l'interprete.
lui sta sempre là,in cima alla scala.
mi guarda.
mi fissa.
lo fisso anch'io, lo guardo anch'io.
urlo " ho il regalo!". mi guarda attraverso.

io salgo le scale di corsa e arrivo davanti ai suoi occhi pieno di fiatone.
lui dice che non dovevo disturbarmi,io invece sono contento di poter dimostrare la mia gratitudine.

"non crederai ai tuoi occhi". cerco di creare un pò di suspence con questa frase.
lui non è impressionato.
è più potente di Vasco Rossi questo regalo.
lui non capisce perchè non conosce Vasco Rossi.
infilo la mano in tasca e cambio espressione del viso.
il pezzo di ghiaccio non c'è più.

lo cerco con tutte le dita.
le rovisto nella tasca.
non sento nessun pezzo di ghiaccio.
il pezzo di ghiaccio è partito.
"ghiaccio" dico.
l'interprete si risveglia e crede che stia dicendo a lui.
"no,non a te. Aspetta un attimo" scendo di corsa e mi metto a cercare il pezzo di ghiaccio.
lo chiamo per la strada e l'interprete mi fissa e forse pensa che sto male.
"ghiacciooooooo" urlo per la strada. "ghiaaaaaaaaacciooooooooo" tutti si affacciano per vedere me che urlo "ghiaaaaaaacciooooooooo".
ghiaccio non c'è più e mi dico che sono uno stupido.
ora l'interprete penserà che non gli sono molto grato.
"ghiaaaaaaacciooooooooo" ghiaccio non c'è. io mi siedo per terra.
sono stufo di cercare ghiaccio.
mi tocco la tasca tutta bagnata.

fisso un punto più in là.
poi parte un jingle. da qualche parte.

05/05/07

ruben mae

interprete (sempre il secondo) : "non è buono camminare con questa pioggia.prendiamo un taxi".
me: "uh".
interprete già vicino al taxi :" prendiamo questo, tanto ci viene a costare poco".
me:" uh".
interprete: " siamo nel taxi, ora."
me: "già".

il taxi mentre cammina fa schschschschsch con le ruote che bagnano l'acqua di altra acqua.
cè il pizzo dentro, come nelle vecchie case delle nonne che avevano i centrini al centro dei tavoli e a forza di fissarli,tutti orli e buchetti, uno si chiedeva come cavolo era possibile che la tua nonna l'avesse prodotto.
e ricercavo le trame ,tentando di seguire il filo del discorso all'interno del centrino.

il taxi fa schschschschschsch sulla strada bagnata e io dico all'interprete: "la portiera si apre da sola, visto? "
lui alza le spalle e mi guarda come a dire: " da dove provieni tu?".
penso che a volte l'interprete mi dovrebbe essere più amico ,ma non glielo dico.
penso pure che a volte l'interprete mi è più nemico che amico.

il taxi fa schschschschsch.
"tassista" sono io ad aprire la bocca :" tu conosci nashikama nika?"
l'interprete mi tocca il braccio,per farmi capire che ho sbagliato lo spelling.
"scusa tassista, intendevo namikasa mishima" l'interprete mi stringe forte il braccio, quasi mi fa male.
ho sbagliato di nuovo.

il tassista sembra immobile, di sicuro si attiverà solo dopo aver fatto il giusto spelling.

"tassista, scusa ancora la mia ignoranza,non riesco a darti il giusto spelling alle parole, ritento, tassista,aspetta,ok?"

il tassista aspetta. (mentre guida).

"tassista,conosci per caso nakashima mika?"
stavolta sono sicuro, l'ho detto bene.

dunque a questo punto, il tassista si attiva. come previsto.
e fa: " nakashimamika,nakashima mika, nakashima mika, nakashima mika, nakashima mika, nakashima mika."

" si, proprio lei" dico io.
l'interprete dice di non conoscerla, lui ascolta solo il metal di band giapponesi.
io no.

il tassista dice invece di conoscerla bene, che anzi è un suo fan, ma che un suo fan, un suo stalker, la segue con il tassì e col tassì è andato ad ogni suo concerto.

ha le foto e ce le vuole mostrare.
il tassista è senza esperssione mentre apre un cofanetto.
dentro solo fotografie di nakashima mika, bigliettini da visita di nakashima mika, biscotti prodotti da nakashima mika, spillette con scritto "nakashima mika" e tante altre cose che hanno dentro di esse l'aura di nakashima mika.

"è una bella ragazza, vero tassista?"
lui è contento che io abbia detto che nakshima mika è una bella ragazza, annuisce felice senza guardarmi.

lui parla di nakashima mika e racconta la vita di nakashima mika.
racconta della sua infanzia,di cosa faceva da piccola, di dove abitava e cosa diceva.
il racconto sta durando da ore.
mentre noi facciamo schschschschschschsch col tassì in mezzo al brutto tempo di stasera.
l'interprete sembra su un altro pianeta, starà pensando ad una sua band metal mentre io penso prima a nakashima mika e cerco di ricordarmi il viso di lei che però non ricordo, poi passo a controllare ogni cubo di cemento prefabbricato che mi passa a lato del finestrino.

sono giorni di cubi di cemento, penso.
gli occhi mi si iniziano ad abituare ai cubi di cemento che sembrano lanciati dall'alto lì dove sono.
il tassista parla dei primi amori di nakashima mika e io penso ai cubi di cemento dove dentro ci sono famiglie che passano il tempo in mezzo a questo tempo brutto di stasera.
i fili della luce sono sospesi in aria e formano intrecci difficili da seguire.
sono miliardi di fili, più dei cubi di cemento, più dei karaoke e dei negozi da cento yen.
nakashima mika è all'high school mentre io mi ripasso con calma i jingle di BESTo e di yodobashi.
ma preferisco quello di Bic camera.
domani me li scrivo da qualche parte parte.
nakashima mika ha già fatto l'amore e la prima volta non le è piaciuto.
le ha fatto un pò male.
e come si vestono le ragazze qua.miliardi di ragazze con la minigonna e le calze calzettoni fino a sopra il ginocchio ,tutte che traballano e sembrano stiano per morire crollare da sopra i tacchi.
nakashima mika ha fatto l'amore la seconda volta.
questa volta le è piaciuto un pò di più.
ancora non ha avuto un orgasmo,dice il tassista, però le è piaciuto.
i cubi sono grigi,grigetti,neri, nerozzi, sono un pò cubi irregolari, quasi tutti senza tetto ,alcuni con un piccolo tetto che sembra lì messo a caso a imitazione di altre architetture.
tutti quei cubi di cemento sembrano contenitori che contengono cose.
mi piacciono i contenitori che contengono.
oggi prima che iniziasse a piovere ho comprato cinque nuovi contenitori.
borse.zaini, tracolle, piccole borsette alla vita,scatole. ho molte cose da mettere nei contenitori.
nakashima mika ha un fidanzato che la picchia , il tassista è triste.
nakashima mika è nata nell'83.
"tassista, lo interrompo" voi avete avuto il terrorismo qua?"
il tassista non capisce.
soprattutto lui stava parlando di nakashima mika, non del terrorismo.
lui ci pensa un pò su che si deve togliere dalla mente per un attimo nakashima mika, e poi dice: "umhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh"
io gli dico : "embhè?"
lui :" aum shinrikyo" e basta.
siamo silenziosi.
il tassista guardando nel buio di fronte mi chiede: "anche da voi terrorismo?"
e ci penso e dico :" tempo fa"
"come aum shinrikyo?"
penso anche a questo. "un pò diverso" poi dico. "senza gas". aggiungo.
il tassista annuisce.
sono ore che siamo in macchina.
coll'autobus ci vogliono sette minuti.
l'interprete sembra non esserci.
è perso nel nulla.
si attiva solo quando deve farmi da interprete.
io e i cubi siamo una cosa sola. e ci fissiamo.
il tassista, senza che nessuno glielo abbia chiesto, riparte con la storia della vita di nakashima mika.

ma purtroppo siamo arrivati.
si interrompe e la porta si apre lentamente, non di scatto.
dolce dolce. ed entra l'aria.
saluto il tassista e lui mi saluta anche.
"spero che non ci sia mai aum shinrikyo da te" dice a me.
io dico che lo spero anche io.

paghiamo e poi camminiamo.
"lo vuoi un key coffee?"
l'interprete non risponde.
è assorto.

mentre compro il key coffee sento solo il ronzio del frigorifero e quando pago parte l'ennesima cantilena della commessa.
le dico che non c'è bisogno che si senta in colpa. nella mia lingua.
lei sorride ma sembra non capire.
non hai fatto nulla di male, poi le aggiungo sempre nella mia lingua.
lei sorride ancora e si scusa.
esco e penso alla montagnola di neve di fronte casa che lentamente diventa sempre più piccola.