26/04/07

linden

la prima cosa che vedo - come un imprinting che ogni mattina si ripete - è il viso del secondo interprete deformato dal mio sonno.
gli chiedo - come hai fatto ad entrare? -
- andiamo - mi risponde lui.
- dove - gli chiedo?
- a fare delle cose, no? - lui senza neanche guardarmi.
io ancora sono vestito da notte.
mi spoglio e mi rivesto che non ho tempo di fare nulla.
il secondo interprete è già sulla porta.
esco dalla stanza ancora tutto slacciato - il cervello, soprattutto - .
il secondo interprete è scmparso. lo cerco. è già sulla soglia di fronte alla scarpiera, che mi aspetta.
- aspetta un attimo - gli dico.
appena finisco lui apre la porta ed esce.
non mi vuole aspettare ,si vede.

- è proprio una bella giornata - mi fa lui per strada.
si è una bella giornata, ma io vorrei evitare di parlare, almeno per un altro pò.
camminiamo per la strada.
l'interprete mi sta portando da qualche parte ma io non ho ancora capito dove, anche se lui continua a ripetere che ci si deve sbrigare perchè altrimenti si fa tardi.
l'interprete parla e dice delle cose.
io annuisco e rispondo.
l'interprete fa altre domande e io ,sempre ragionando prima, rispondo.
dico la mia e lui fa domande.
poi sto per dire la mia, e lui fa altre domande.
io rispondo.
così per venti minuti, tra le strade e il traffico.
mi dice che la giornata è lunga.
io annuisco senza rispondere.
- questa è una scuola - mi fa.
- a casa mia le scuole sono sporche, qui molto pulite -.
- eh già - è quello che rispondo.
sono perso negli uffici, oggi.
impiegati parlano e clienti ascoltano e poi chiedono.
noi chiediamo (l'interprete chiede per me) e poi ci rispondono.

neanche chiedo spiegazioni all'interprete, anzi, dopo un pò neanche scrivo più, è più facile se l'interprete fa tutto per me, mia estensione, mio riflesso parlante.

dopo ore di silenzio (ma l'interprete intanto parlava con gli altri, ma non con me)
una frase:
- alle 5 c'è l'incontro. -
-che incontro? - finalmente io parlo.
- quello di benvenuto, per i nuovi arrivati -
cado dal cielo e mi schianto per terra.
forse da qualche parte mi era stato detto.
forse qualcuno, qualche giorno fa, mi aveva avvertito della cosa, dell'evento, insomma dell'incontro.
non ci voglio andare. dico io.
ci devi andare, dice l'interprete.
io NON ci voglio andare ,ripeto con aria che potrebbe anche sembrare cattiva.
tu ci devi andare. risponde senza modificare espressioni, l'interprete.

poi ci pensa e cambia: - se non ti va, puoi anche non andarci - e alza le spalle per disprezzarmi.
allora è chiaro, ci devo andare.

ora qui c'è un vuoto.
io non mi ricordo cosa è successo dalle 4 alle 5 ,comunque mi sono ritrovato nel mezzo.
tra le persone.
tutti sorridono.
e ci sono tutti.
quello dell'ufficio internazionale.
quella della cooperativa.
quello che qui fa i discorsi introduttivi e quindi dovrebbe essere uno che sopra di sè non ha nessuno.
c'era anche quell'altro, quello che ricordo di aver visto ,ma non ricordo esattamente dove.
mi salutano. io saluto sorridendo.
mi sono simpatici e sono vestiti bene, penso.
c'è la folla.
tutti devono indossare il loro badge con nome scritto e trascritto.
così tutti si possono avvicinare, abbassare la testa, e tentare di leggere (con un pessimo accento) il tuo nome.
in effetti lo fanno tutti.
c'è un momento in cui nessuno parla.
tutti sono avvinghiati in una catena di sguardi fissi sui badge, tutti che controllano il nome di un altro, tutti che lo sbagliano e che non si rendono conto della schifezza che fanno uscire dalle labbra.
io mi sottopongo, col petto in fuori e il sorriso in viso, e spiego che no, la "l" non c'entra proprio un cazzo (glielo dico, uso proprio le parolcce) che "ru" in realtà da me a casa mia non si dice e che per esempio lì di lettere ce ne vanno due e che fanno più o meno questo suono "...".
mi guardano come avessero visto un morto.
quando mi chiedono se hanno detto bene ,rispondo sempre con "si, stronzo" e sorrido.
così per venti minuti.
alcuni tentano anche timidi approcci di conoscenza reciproca.
mi chiedono che musica ascolto. "tutta" rispondo io.
che film mi piacciono. "la commedia trash italiana" dichiaro.
"interesting?" dicono loro. mi raccolgo per un momento e poi col volto duro e serio: "molto".
iniziano i discorsi mentre camerieri di corsa riempiono e incastrano tavoli, tolgono plastiche protettive e dispongono oggetti da mangiare. bottiglie di acqua di bibite di birre fanno rumore sopra i tavoli, ogni tavolo è dedicato ad un diverso tipo di persone.

io faccio parte di queste persone qua: 留学生 .

tutti si avvicinano ai tavoli, nessuno rispettando le giuste distinzioni.
tutti mentre mangiano cercano anche di parlare.
io non riesco a fare le cose insieme.
ci provo, gli altri sono esigenti e pretendono che io lo faccia.
mentre parlo inizio a bere.

poi succede l'imprevisto, a metà del rinfresco qualcuno sale sul palco per un altro discorso, l'ennesimo.
l'interprete mi dice: "devi andare sul palco".
"cosa" io mentre in bocca ho due pezzi di riso.
"no, non se ne parla".
" sei obbligato" se ne esce l'interprete.
forse l'interprete è il mio nemico, forse è solo un falso aiutante.
"no, non voglio" ripeto.
"come ti pare, puoi anche non andare" e alza le spalle in segno di disprezzo.
allora è chiaro che sono obbligato.

siamo tutti in fila, io già vedo tutto quasi confuso e non so che dire.
parlano ognuno con un accento differente.
a me gli accenti mi si mescolano in testa e mi sembra di essere in malesia.
poi guardo uno accanto a me e gli chiedo se è taiwanese.
no, io sono di qui, mi risponde.
mi scuso.
l'altro accanto a me sembra un misto, ma so che è americano.
non gli chiedo nulla, lui è concentrato a creare la sua frase in lingua aborigena.
mi toccano la spalla. è un essere umano di prima con cui avevo discusso di film hollywoodiani.
"sei cinese tu, vero?" gli chido così a bruciapelo.
"no, coreano".
"ah,e di dove?"
"suul" lui fa.
"ah suul" faccio io.
ma no ho capito.
lo chiedo anche ad un altro ,uno che sta passando "tu di dove cazzo sei?" "di qui, giusto?"
"no, io sono cinese" .
smetto di capirci qualcosa.
mentre sto smettendo di capirci e lentamente si avvicina il mio turno capisco che il coreano diceva "seoul".
cerco di rintracciralo per dirglielo, ma lui non so più dove sia.

tocca all'americano, che io non l'avevo capito ma era prima di me.
l'americano inizia a mettere tutte in fila alcune parole e io credo di capire poco o niente.
sono già sul palco con in mano il microfono e ci tossisco dentro.
mi sembra di essere in un karaoke.
ma non lo sono.
tutti aspettano che io parli.
quando apro bocca io non mi ricordo e non mi sento cosa dico, però loro ridono.
allora insisto e aggiungo "... ... ... ... ..." loro annuiscono e sono contenti.
ringrazio i sardi per avermi permesso di essere qui in questo momento e termino facendo degli auguri generali ".. .. .. .. .. .. "tutti applaudono e io non so più che fare. scendo dal palco dalla parte sbagliata e mi porto via il microfono.

c'è uno che me lo vuole strappare dalle mani ora, io vorrei tenermelo, il microfono.
non so neanche chi sia, quello che mi vuole rubare il microfono, io tiro e strattono troppo forte, cado per terra e mi porto dietro un vassoio di legno pieno di pezzi di riso.
gli dico "pigliati sto microfono che tanto non mi serve più" ma poi mi accorgo che in realtà il microfono gli era rimasto in mano da quando avevo strattonato troppo forte.

mi viene a raccogliere il capo dell'ufficio internazionale, ma lui di internazionale non ha nulla.
non ci capiamo, gli espongo il mio problema che a me questi discorsi dal palco non piacciono, e che in fondo è tutta una sciocchezzuola.
lui mi guarda e mi sorride io gli rispondo con un sorriso.

l'interprete mi ricompare davanti con la sua faccia, come la mattina, e mi dice che certe cose qui non si fanno.
io credo si riferisca a me e di quello che avevo appena finito di fare invece parlava di tutt'altra cosa, che forse stava pensando da ore che doveva assolutamente dirla.

mi riprendo dal disappunto.
di nuovo si torna a mangiare.
c'è uno che si avvicina e mi chiama per nome, forse gliel'ho detto prima, ma non ricordo.
mi chiede che musica mi piace ascoltare. gli rispondo " molto".
e mi chiede anche che film mi interessano. gli dico " tutta" .
lui forse mi guarda strano.
io continuo a rispondergli.
però lui le domande non me le sta facendo.
discutiamo sulle esplosioni nei film americani, di come ci divertono a entrambi.
poi gli dico che a me "fanno schifo" e lui ripete la parola "esplosioni" .
io gli dico "si le esplosioni mi divertono alquanto".

"ora le foto"
qualcuno dietro di me ha appena detto "ora le foto".
è sempre lui, l'interprete che quando vuole si materializza.
"no" sono irremovibile.
a lui basta alzare le spalle e io capisco.

mi avvio sconsolato.
a tutto questo, ragiono, non c'è rimedio.
i fotografi sono due e ordinano ordini.
mi chiedo cosa.
mi sposto in base ai loro gesti e mi posiziono in mezzo a cosi che si muovono e che provengono da tanti posti tipo india,taiwan,corea del sud, qualche provincia della cina, vietnam e molti molti altri.

io mi giro verso uno e gli chiedo: "ma tu sei d'accordo con questa foto?" e lui mi sorride, gli sorrido anche io e gli faccio OK con la mano.
sorrido sempre.
i fotografi si arrampicano su una sediola per avere una posizione di venti centimetri più elevata.
il capo (quello che faceva i discorsi) ci guarda soddisfatto.
noi saremmo si e no 20.
lui è soddisfatto e sorride.
l'interprete m'aveva tradotto un pezzo del suo discorso che più o meno recitava: "siate tutti felici di essere qui come noi lo siamo ora.cercate di sopravvivere in questo paese, perchè qui per gli stranieri la vita non è facile".

i fotografi urlano come dei pazzi e iniziano a scattare. aspettiamo senza battere ciglio. almeno io.
ne fanno tre o forse sette. luci e flash e in fondo dietro i fotografi tutti vestiti con giacca e cravatta ci sorridono.
poi ci dicono che possiamo andare. ci fanno segno.
io faccio per spostarmi ma prendo male una sedia davanti a me, scivolo, mi aggrappo alla manica di un indiano e con l'altra che rotea nell'aria a ricercare l'equilibrio perduto prendo in faccia un cinese.
perdo aderenza anche con l'altro piede.
vengo giù di schianto.
l'indiano viene giù con me e mentre il cinese si piega istintivamente per coprirsi il volto colpito qualcuno impaurito dal mio crollare colpisce il cinese che rotola per terra.
non ci si salva.
chi più chi meno subisce qualcosa.
la vietnamita si spaventa, povera bambina, e mentre cerca di farsi da parte mette il piede oltre il palco, che finisce proprio lì dietro prima della vetrata gigantesca.
finisce contro la vetrata.
l'amica indiana la va ad aiutare.
cinque persone a terra e tutti che ci guardano.
sono stordito e guardo verso l'alto.
sono tutti intorno a me, tutti quelli dei vari uffici che controllano se sono vivo.
sono vivo e sto bene e mentre mi rialzo guardo fuori dal finestrone.
c'è un pò di sole e da una parte un pò di neve ghiacciata.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

oddio...questa cosa è proprio da te...ahahahah..ne hai collezionate di figuracce eh?..spero per te che i giapponesi abbiano la memoria corta..ahahah...ti prendo in giro ovviamente lo sai...

susukino ha detto...

si lo so che mi prendi in giro,se solo io sapessi chi tu sei.

Anonimo ha detto...

Chi vuoi che io sia?la stessa persona che ti prendeva in giro su pomezia..ahahah

susukino ha detto...

vedo che sei un anonimo intelligente....
comunque ti odio...

Anonimo ha detto...

e perchè?Che ti ho fatto di male?

Anonimo ha detto...

mmm..ho come la sensazione che tu non abbia capito assolutamente chi io sia...ahahah..colpa mia che mi scordo la firma..però è troppo divertente..perdonami se ti lascio nel dubbio...ahahahah

susukino ha detto...

per esempio io capisco tutto.

Anonimo ha detto...

nn so se è vero quello che ci racconti con un aggiunta piccola di fantasia oppure ti stai annoiando a queste riunioni ufficiali talmente tanto da montare tutto questo teatrino solo per farci sorridere un po'.
sei molto dolce cmq!!!.....:\....
have a fab day!!
gana

susukino ha detto...

è tutto vero, ed è tutto iniziato con quell'onigiri di merda.
lo odio.
è tutta colpa sua.

Anonimo ha detto...

Io non nutro riserve sull'attendibilità dei tuoi scritti. Ho letto il blog del cinese rotolato a terra, la versione combacia.
Però la sua è più splatter.
Daje daje, tutti giù per terra!

Anonimo ha detto...

ah..capisci tutto?allora è vero che mi odi..ahahah...povero onigiri...non dargli la colpa se sei goffo...ahahahah..scherzo...però mi ha fatto troppo ridere il tuo intervento..ahahah...

susukino ha detto...

non ti fidare del cinese, c'è sotto qualcosa.

ancora co sto "povero"...

L. ha detto...

...e finalmente riesce a capire come si posta...
secondo me il coreano di suul si è offeso e medita vendetta tremenda vendetta, l'ho visto che parlava al bar del paese con gente poco raccomandabile...

susukino ha detto...

il coreano deve solo che temermi...

Anonimo ha detto...

snob

susukino ha detto...

sono i coreani ad essere snob.